LORENZO STECCHETTI... Un artista poco conosciuto...
Olindo Guerrini nacque il 14 ottobre del 1845 a Forlì e morì nel 1916 a Bologna.
Nel 1877, sotto il nome di Lorenzo Stecchetti, Guerrini pubblicò una raccolta di poesie intitolata "Postuma", fingendo che fossero appartenute ad un cugino morto a trent'anni per tisi. I versi fecero scandalo per il loro contenuto erotico e blasfemo, che non mancò nelle opere pubblicate successivamente.
"Polemica" (1878),
"Nuova polemica" (Nova polemica, 1878),
"Rime", di Argia Sbolenfi (1897) pubblicate sotto pseudonimo (Argia Sbolenfi),
"Giobbe" (1882), poema burlesco e parodistico scritto in collaborazione con C. Ricci e in polemica con Mario Rapisardi.
Si dedicò altrsì ai dialetti, scrivendo versetti in dialetto veneto e romagnolo.
Ecco alcune poesie tratte da "POSTUMA"
"Poveri versi miei gettati al vento,
Della mia gioventù memorie liete,
Rime d'ira, di gioia e di lamento,
Povere rime mie, che diverrete?
Ahi fuggite, fuggite il mondo intento
A flagellar chi non l'amò; premete
L'inculto sì ma non bugiardo accento,
Conscie dell'amor mio, rime discrete.
E se la donna mia ritroverete
Per cui le angoscie della morte io sento,
Voi che il segreto del mio cor sapete,
Voi testimoni del perir mio lento,
Quanto, quanto l'amai voi le direte,
Poveri versi miei gettati al vento. "
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"Come il ricordo vago e mal distinto
D'una speranza giovanil caduta,
Come il ricordo d'un affetto estinto
Nel mio vano sognar tu sei venuta.
E m'hai messo nel sangue un novo istinto
Che scalda il cor tediato e lo trasmuta;
Sul mio cammin la speme hai risospinto,
La tentatrice ch'io credei perduta.
L'anima mia così lascia la stolta
Piuma dove ingrassò ne' sonni tardi
E attenta il suono de' tuoi passi ascolta.
Lasciar per te potrebbe i suoi codardi
Ozi ed amar la vita un'altra volta,
Ma tu le passi accanto e non la guardi."
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"No, non chiamarmi giovane
Perchè i capelli miei son folti e biondi
E le mie guancie floride
Di molli carni e di color giocondi.
Son come il frutto fradicio
Dentro e che serba il suo color di fuora.
Donna, ti sembro giovane
E sono un morto che cammina ancora.
Chiusa per sempre ho l'anima
Alle dolci lusinghe ed ai conforti.
Donna, non mi sorridere;
Donna, non mi tentar; rispetta i morti."
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" Quando nacque Gesù dal sen fecondo
Della vergine ebrea, l'orrida vesta
Scosse l'inverno e rinverdì giocondo
E Betlemme adorò di Dio la gesta.
Scese un inno d'amor dal ciel profondo,
Iddio s'unì degli uomini alla festa;
Osanna, ognun gridò, redento è il mondo,
Ma l'asino ed il bue scosser la testa.
L'asino disse: o spalle mie, saprete
A suon di verghe se redente siete
Quando a Gerusalemme il condurrete!
Ed il bue: le mie costole sapranno
Un giorno a Cana se redente l'hanno
Quando in bistecche me le mangeranno!"
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I FILOSOFI SALARIATI
"Or non più tra le rabbie e le contese
Povera e nuda va filosofia,
Ma fa la ruota a scuola e per la via,
Tira la paga e noi facciam le spese.
Se regnano la forca e il crimenlese
Di San Tomaso fa l'apologia,
Se torna in alto la democrazia
Inneggia alla repubblica francese.
Ah, panciuta camorra di ruffiani
Che della verità strame vi fate.
Ogni giorno che splende ha il suo domani
A rivederci, maschere pagate,
A rivederci, illustri mangiapani,
A rivederci sulle barricate!"
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LAZZARO
"I sozzi lini dal sepolcro scossi,
Ancor mal desto Lazzaro piangea
E il cupo Rabbi dai capelli rossi
Dell'osanna volgar si compiacea.
- In che peccai che sì punito io fossi?
Il risorto discepolo dicea:
- In che dunque peccai che tu m'addossi
Tutte le colpe della gente ebrea?
Mi dovevi salvar quand'io moria,
Ed al sepolcro la mia carne hai tolta
Or che nel suo dormir più non soffria.
E tu, Rabbi che amai, perchè la stolta
Turba in te riconosca il suo Messia,
Mi condanni a morire un'altra volta!"
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IRA
"Cieco! e il balen d'un'ironia feroce
Non ti vedea sul viso
E ti chiedevo colle mani in croce
La pietà d'un sorriso.
Come un bambino a te davanti gli occhi
Trepidando chinai,
Come un can flagellato a' tuoi ginocchi,
Vile, mi trascinai;
China l'altera fronte, io t'ho baciato
Il lembo delle vesti,
Ho sofferto l'inferno, ho bestemmiato,
Ho pianto... e tu ridesti.
Mi levo adesso dal codardo oblio,
Le mie catene spezzo,
Mi vergogno di te, dell'amor mio:
Mi levo e ti disprezzo.
Or di', se il vuoi, che per te sola ho pianto,
Vinto, curvato, umile!
Io, te straziando nell'audace canto,
Dirò quanto sei vile."
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SCRITTO SOPRA UN SASSO
"Voi che salite questo verde monte
E il silenzio cercate
Dov'è più folto il bosco e chiaro il fonte,
Anime innamorate,
Pietà di me! Sul margin della via
Seggo soletto e gramo:
Ahi grave, amanti, è la sventura mia!
Pietà di me! Non amo."
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NOZZE
"No, non chinar pensosa
Gli occhi e la fronte onesta;
Ecco la stanza ascosa,
L'ara d'amore è questa.
Qui la ghirlanda posa,
Scingi la bianca vesta,
E sul guancial di sposa
Piega, gentil, la testa.
Apri all'amor le braccia
E gli spaventi insani
Del tuo pudor discaccia;
No, colle bianche mani
Non ti velar la faccia...
Arrossirai domani. "
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"Quando al fuggir della stagion nevosa
Il verde april saluterai risorto,
Nel tuo giovane cor più rigogliosa
Palpiterà la vita. Io sarò morto.
Amor trascorrerà di cosa in cosa
Fino al fior della tomba ov'ei m'ha scorto:
Dal cor mi crescerà per lui la rosa
Come vivendo il verso mio v'è sorto.
I canti del mio cor li hai colti, è vero,
Ma i fiori, ohimè, non li raccoglierai!
Chi li raccoglie i fiori in cimitero?
Tu di novelli amor lieta, darai
Domani ad altri il bacio ed il pensiero,
E più di me non ti ricorderai."
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"Quando lettrice mia, quando vedrai
Impazzir per le strade il carnovale,
Oh non scordarti, non scordarti mai
Che ci son dei morenti all'ospedale!
Quando bella e gentil, tu salirai
Di liete danze alle sonanti sale,
Volgiti indietro e la miseria udrai,
La miseria che piange in sulle scale.
Quando ti riderà negli occhi belli,
Come un raggio di sol giocondo, amore,
Pensa che amor non ride ai poverelli.
Quando ti specchierai, ti dica il core,
Che una perla rapita ai tuoi capelli,
Solo una perla può salvar chi muore."
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AD UNA GIOVINETTA CIECA
"Oh, non dolerti, no, bella infelice,
Se veder non t'è dato il nostro mondo;
Così bello non è, così giocondo,
Povera cieca, come il cor ti dice!
Tu la bestialità fornicatrice
Ghignar non vedi agli occhi nostri in fondo,
A te il desio brutal, l'istinto immondo,
La nostra infamia a te veder non lice.
Scorda i fantasmi che la mente sogna,
E il perduto veder di che ti duole:
La beltà cui tu credi è una menzogna.
Tra l'erba verde e le fiorite aiuole
Trascina il rospo vil la sua vergogna:
Beati gli occhi che son chiusi al sole!"
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"La grigia nebbia di novembre ammanta
Del paterno villaggio i casolari,
Stridono i tizzi verdi in sugli alari,
Geme il vento di fuori e il corvo canta.
Oggi le donne pie disser la santa
Prece dei morti a piè de' bruni altari,
Ogni pietra, ogni croce oggi è compianta
Dove dormon sepolti i nostri cari.
Ma sono agli altri questi dì men gravi,
Ma lieto il padre narra oggi al figliuolo
Le antiche gioie e le virtù degli avi,
Ma l'amor, la famiglia ad ogni duolo
Recan oggi conforto e più soavi
Sono i sorrisi, i baci... ed io son solo."
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PREGHIERA DELLA SERA
"Libera nos a malo.
De' miei semplici padri antico Iddio,
Se vana ombra non sei,
Dio di mia madre in cui fanciullo, anch'io
Innocente credei:
Se pur tu scruti col pensiero augusto
De' nostri cori il fondo,
Se menzogna non è che tu sia giusto
Con chi fu giusto al mondo,
Guarda: dell'agonia patir gli orrori
Ogni giorno mi tocca:
Guarda l'anima mia di che dolori
E di che fiel trabocca!
Abbrevia tu, se puoi, le maledette
Ore del mio soffrire,
Avventami, mio Dio, le tue saette:
Mio Dio, fammi morire!"
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IN MORTE DI UN MOLTO REVERENDO STROZZINO
"Curia romana non petit ovem sine lana;
Dantes exaudit: non dantibus ostia claudit.
Antico distico leonino.
Intendi tu il lugubre
Lamento de' bronzi
Sì dolce agli ipocriti
Sì bello pe' gonzi?
Il tempio rigurgita
De' colli più torti
Che lieti borbottano
La prece dei morti.
Requiescant in pace,
Requiescant in pace.
Imploran que' cantici
La pace al banchiere
Che pria d'esser nobile
Barò al tavoliere.
Non dice l'epigrafe
Le infamie sepolte,
Ma è noto che in Svizzera
Scappò sette volte.
Requiescant in pace,
Requiescant in pace.
Rubando al postribolo,
Rubando al convento,
Prestando al suo prossimo
Al cento per cento,
Sul ricco e sul povero
Stendendo la mano
In barba al decalogo
Morì da cristiano.
Requiescant in pace,
Requiescant in pace.
Ed ora chinandosi
In umile aspetto
I preti gorgogliano
Battendosi il petto:
Gesù, ricevetelo
Nel coro de' santi;
li eredi ci pagano
A pronti contanti!
Requiescant in pace,
Requiescant in pace.
Pagare! all'intendere
Quest'aurea parola
Il core ci palpita
Di sotto alla stola!
A noi, ricchi e poveri,
La borsa recate;
Sta scritto ne' Canoni
Pagate, pagate!
Requiescant in pace,
Requiescant in pace.
Di preci e di lagrime
Il ciel non si appaga,
Ma il sommo pontefice
Assolve chi paga.
È ver che gli apostoli
Sprezzavano l'oro;
È ver, ma tenevano
La serva costoro?
Requiescant in pace,
Requiescant in pace.
De' cieli alla gloria
Volete il diritto?
Pagate, cattolici,
Pagate l'affitto!
È forza che l'anime
Passando Acheronte
Ammansin coll'obolo
Chi fa da Caronte.
Requiescant in pace,
Requiescant in pace.
Venite, la celebre
La santa Bottega
A prezzi di fabbrica
Vi scioglie, vi lega.
Fa spaccio di meriti,
Cancella peccati...
Venite! I solvibili
Saranno beati!
Requiescant in pace,
Requiescant in pace. "
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"Magre virtù che vi scandolezzate
Se una donnina mostra un po' le spalle,
Verginità feroci e stagionate
Dai denti lunghi e dalle labbra gialle,
Chiudete la finestra e non guardate
In questa nostra lacrymarum valle,
Tornan col maggio alle nequizie usate
I fior, gl'innamorati e le farfalle.
Chiudete gli occhi! Tornano ai capelli
Delle fanciulle i fior, tornano al prato
Fino l'agne di Cristo a far gli agnelli.
Chiudete il libro mio scomunicato
Che vi potrebbe dir come son belli
Maggio, le peccatrici ed il peccato."
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Kennst du das Land...?
GOETHE.
"Conosci tu il paese
Dove non s'è mortali,
Dove alla fin del mese
Non scadon le cambiali?
Quell'Eden ben pasciuto
Pieno di facce grasse
Che non han mai veduto
L'agente delle tasse?
Conosci tu il paese
Che non conosce i preti,
Le bettole, le chiese,
Le ciarle dei poeti?
Dove non c'è soldati,
Dove non c'è catene,
Dove gl'innamorati
Si voglion sempre bene?
Ivi nessun ha detto
Che donna dice danno,
Perchè lassù l'affetto
Esse scontar non sanno.
Oh, chi trovar sapesse
Un'anima cortese
Qualunque, che potesse
Mandarti a quel paese!"
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IL CANTO DELL'ODIO
"Quando tu dormirai dimenticata
Sotto la terra grassa
E la croce di Dio sarà piantata
Ritta sulla tua cassa,
Quando ti coleran marcie le gote
Entro i denti malfermi
E nelle occhiaie tue fetenti e vuote
Brulicheranno i vermi,
Per te quel sonno che per altri è pace
Sarà strazio novello
E un rimorso verrà freddo, tenace,
A morderti il cervello.
Un rimorso acutissimo ed atroce
Verrà nella tua fossa
A dispetto di Dio, della sua croce,
A rosicchiarti l'ossa.
Io sarò quel rimorso. Io te cercando
Entro la notte cupa,
Lamia che fugge il dì, verrò latrando
Come latra una lupa;
Io con quest'ugne scaverò la terra
Per te fatta letame
E il turpe legno schioderò che serra
La tua carogna infame.
Oh, come nel tuo core ancor vermiglio
Sazierò l'odio antico,
Oh, con che gioia affonderò l'artiglio
Nel tuo ventre impudico!
Sul tuo putrido ventre accoccolato
Io poserò in eterno,
Spettro della vendetta e del peccato,
Spavento dell'inferno:
Ed all'orecchio tuo che fu sì bello
Sussurrerò implacato
Detti che bruceranno il tuo cervello
Come un ferro infocato.
Quando tu mi dirai: perchè mi mordi
E di velen m'imbevi?
Io ti risponderò: non ti ricordi
Che bei capelli avevi?
Non ti ricordi dei capelli biondi
Che ti coprian le spalle
E degli occhi nerissimi, profondi,
Pieni di fiamme gialle?
E delle audacie del tuo busto e della
Opulenza dell'anca?
Non ti ricordi più com'eri bella,
Provocatrice e bianca?
Ma non sei dunque tu che nudo il petto
Agli occhi altrui porgesti
E, spumante Licisca, entro al tuo letto
Passar la via facesti?
Ma non sei tu che agli ebbri ed ai soldati
Spalancasti le braccia,
Che discendesti a baci innominati
E a me ridesti in faccia?
Ed io t'amavo, ed io ti son caduto
Pregando innanzi e, vedi,
Quando tu mi guardavi, avrei voluto
Morir sotto a' tuoi piedi.
Perchè negare - a me che pur t'amavo -
Uno sguardo gentile,
Quando per te mi sarei fatto schiavo,
Mi sarei fatto vile?
Perchè m'hai detto no quando carponi
Misericordia chiesi,
E sulla strada intanto i tuoi lenoni
Aspettavan gl'Inglesi?
Hai riso? Senti! Dal sepolcro cavo
Questa tua rea carogna,
Nuda la carne tua che tanto amavo
L'inchiodo sulla gogna,
E son la gogna i versi ov'io ti danno
Al vituperio eterno,
A pene che rimpianger ti faranno
Le pene dell'inferno.
Qui rimorir ti faccio, o maledetta,
Piano a colpi di spillo,
E la vergogna tua, la mia vendetta
Tra gli occhi ti sigillo. "
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"Quando scroscia la piova e fischia il vento
E nella notte latra la tempesta,
Se dal freddo origlier levo la testa
Chiamarmi da lontano un urlo sento;
E sui cubiti allor pien di spavento
Mi levo, ascolto e il respirar s'arresta...
Ahi, la conosco, la conosco questa
Implacabile voce di lamento.
Eppur nella città dorme ogni cosa,
Eppur l'eterno oblio l'ossa conforta
Sotto le pietre bianche alla Certosa.
Sola tu, sola tu, dietro la porta
Del monumento tuo vegli gelosa
E mi chiami e mi vuoi, povera morta."